Capire per cambiare

brosse

di Roberto Gramiccia –
Mantenere la lucidità in questi momenti non è facile. Ma bisogna farlo. E allora, consapevole della complessità di un’analisi esaustiva del voto che rinvio ad altre e più autorevoli sedi, vorrei limitarmi a dire  una cosa soltanto, preceduta da qualche considerazione preliminare. Il pessimo risultato elettorale che Rivoluzione civile ha ottenuto è sicuramente dovuto al nodo scorsoio nel quale la lista Ingroia è rimasta strangolata: quello costituito del voto utile al Pd e  dal terremoto di consensi che Grillo è riuscito a scatenare. Questo è vero. Ma non basta a spiegare il nostro fallimento. Col senno di poi ora sono tutti pronti a parlare di una “sconfitta annunciata”. Ma si tratta di discorsi a vanvera.
Era diffusa, invece, la convinzione che – ferma restando una pressoché certa, grande affermazione di Grillo –  Ingroia ce l’avrebbe fatta a superare il quorum, almeno alla Camera. Come era diffusa la convinzione che Berlusconi, nonostante la rimonta al fotofinish, sarebbe, se non scomparso di scena, sicuramente stato inchiodato ad un risultato destinato ad annunciare la sua uscita di scena. Così come era prevista un’affermazione significativa di Ingroia in Campania e in Sicilia e almeno un testa a testa fra Ambrosoli e Maroni in Lombardia. Ora niente di tutto questo è accaduto e la linea Maginot ha ceduto lungo tutta la sua estensione.
Non si è sbagliato tanto nel non prevedere l’affermazione di Grillo, di cui in realtà è sfuggita piuttosto l’entità. Si è sbagliato nel ritenere archiviata la pratica del centrodestra che invece, se pur molto ridimensionata, è tutt’altro che uscita di scena, insieme al suo inossidabile e imperturbabile generale in capo. Ora io penso che sicuramente la ragione principale di questo risultato dipenda dal combinato disposto della grande sofferenza a cui la crisi sottopone il paese e dall’assoluto disgusto che ormai la politica e i partiti suscitano nella gente. Ma questo ancora una volta, pur essendo sacrosanto, non basta. Perché se bastasse allora, anche se in parte minima,  la lista di Rivoluzione civile avrebbe dovuto essere premiata, non fosse altro che per la radicalità delle sue proposte in difesa della legalità, del tenore di vita e dei diritti delle fasce più deboli. Ci si dirà: ma Rivoluzione civile aveva dentro i partiti. E la gente oggi detesta i partiti. Sarà anche vero. Ma allora perché un centrodestra pieno di partiti e partitini, guidato da un leader sulla cui impresentabilità e diventato persino ozioso intrattenersi, è arrivato testa a testa con un PD  che tutti davano per vincente?
Del resto lo stesso trionfo di Grillo, se pur annunciato, ha assunto proporzioni (apparentemente) irragionevoli e assolutamente inedite in ragione dell’abituale vischiosità dell’elettorato italiano. Senza considerare l’obiettivo rischio corso da milioni di elettori che hanno affidato il loro voto proprio a Grillo, non potendo non mettere in conto l’ingovernabilità che un suo grande successo avrebbe prodotto, con rischi tangibili per i destini personali di tutti, visti i legami ormai diffusamente noti fra l’andamento dei mercati e le dinamiche della politica.
Un voto di protesta quindi. Ma anche un voto molto rischioso espresso da un sacco di gente disomogenea negli orientamenti, pur se sarebbe sbagliato non coglierne una vocazione forse maggioritaria verso istanze di sinistra. Ma fra enormi contraddizioni comunque. Con posizioni contro il sindacato, contro i figli dei migranti nati in Italia, contro qualsiasi tradizione di sinistra e antifascista, sfasciste, allergiche a qualsiasi forma di alleanza,  di ragionevolezza e ponderazione nella scelta delle opzioni di politica economica. A proposito della supposta democrazia dal basso, poi, quella garantita dell’uso del blog di Grillo e dalla rete, se pur  va rispettata e meglio studiata, non può sostituire sic et sempliciter le istanze intermedie di gestione e di controllo del potere democratico. L’assoluta orizzontalità del sistema finisce per fornire un’apparente condivisione delle decisioni, che in assenza di intermediazioni, di pesi e contrappesi, finisce per regalare il potere decisionale a due persone soltanto, come è accaduto per Grillo e Casaleggio. Quindi anche quella della democrazia è una falsa pista.
Ma allora perché è accaduto quello che è accaduto.
Ebbene, penso che, al netto della storia dei nostri errori politici che sono tanti e rilevanti e anche al netto degli errori e degli “orrori” commessi dal PD e da SEL la cui responsabilità non va sottaciuta, le ragioni di questo voto abbiano, nonostante le apparenze, una natura prevalentemente antropologica e culturale. Intendo dire che almeno due terzi dell’elettorato pur aderendo a ben diverse proposte politiche hanno dimostrato di essere sensibili ad eguali ed opposte sollecitazioni di pancia. Da un lato le false promesse del Caimano che hanno attecchito su un terreno di desertificazione morale e di cinismo spaventoso, a fronte del quale diventano edificanti persino le vestigia della vecchia DC. Dall’altro la propaganda casinista, velleitaria e iperdemagogica di Grillo, che pur facendo leva su sentimenti sicuramente più nobili e attingendo oggettivamente a una cultura antagonista in parte connotata a sinistra,  ha mostrato palesemente ciò che era a chi avesse avuto la capacità di giudicarlo.
Che cos’è che unisce i poli di queste due realtà? E’ la regressione culturale che connota i tratti di una mutazione antropologica annunciata da Pasolini fin dagli anni Settanta e che, oggi, è venuta pienamente a maturazione a causa di una serie di motivi che non è il caso di indagare qui. A fronte di questa regressione la plausibilità, la congruità, la credibilità stessa dei programmi elettorali ha perso completamente senso. Non interessa più a nessuno. E infatti chi ha deciso di votare non lo ha fatto leggendo i programmi. Altrimenti Ingroia avrebbe preso almeno il 10%. Lo ha fatto in maniera istintiva facendo capo o a interessi elementari o a stati d’animo. Quello che ha fatto vincere Grillo è quel “vaffanculo” rimbalzato di televisione in televisione  che, ogni sera per settimane, ha dato voce concreta agli stati d’animo di milioni di persone che con lui hanno finito per stabilire un rapporto empatico, fondato quasi unicamente su questa liberatoria parolaccia. Grillo ha avuto il grande merito di dare voce al risentimento della gente, con essa cioè è riuscito a stabilire quella che Gramsci avrebbe definito una vera e propria “connessione sentimentale”. Di questo sarebbe sciocco non dargli atto. Quello che ha fatto vincere Berlusconi è, più prosaicamente, il peso di bugie che appaiono persino irriferibili non solo per la statura morale di chi le ha dette ma per la loro intrinseca, grottesca insostenibilità.
Va detto chiaramente che questa analisi, condotta per ora a spanne, non ci assolve dalle nostre responsabilità perché i lineamenti di quella che ho chiamato una vera e propria mutazione antropologica erano noti da tempo, come era noto il ruolo e il peso del sistema dell’iper-comunicazione, attraverso il Web e le televisioni, nel condizionamento delle sue dinamiche. Il nostro modo di porci non ha intercettato nessuna delle esigenze espresse da una crisi che evidentemente interessa il portafogli della gente non meno che le sue coscienze. Il profilo di questa analisi, quindi, non può assumere una fisionomia para-assolutoria ma, al contrario, deve stimolarci a quell’autocritica necessaria a correggere i nostri errori e i nostri atti. Prima che sia troppo tardi.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.